Educazione
Mamme da legare: L’insegnamento di una lingua straniera sin dai primi mesi
Ho letto e sentito spesso che la presenza di una seconda lingua nell’educazione dei bambini molto piccoli porterebbe solo confusione nello sviluppo delle facoltà comunicative del bambino.
Questo è un pregiudizio duro a morire, come quello oramai (quasi) superato che i bambini devono dormire proni. Mi è capitato, tenendo lezioni di italiano in classi di migranti, che alcune madri magrebine mi chiedessero di dare una mano ai figli piccoli: le maestre elementari avevano infatti chiesto ai genitori di non parlare arabo a casa, perché i bambini a volte utilizzavano termini arabi in classe. Chiedere che i bambini rinunciassero alla loro lingua madre mi è sembrata una cosa orrenda, oltre che controproducente per il bambino stesso.
La compresenza di due o più lingue, infatti, porta solo a un arricchimento cerebrale: quando si realizza il processo di lateralizzazione, cioè di “specializzazione” dei nostri due emisferi (in soldoni: all’emisfero sinistro si attribuiscono i compiti di natura analitica, logica. A quello destro, quelli di natura globale), i due emisferi imparano a “collaborare” in maniera più efficace se stimolati dall’apprendimento di una seconda lingua. Fino a 3 anni il bambino impara con impressionante rapidità e, nel caso delle lingue, con incredibile precisione fonetica. Dai 4 agli 8 anni, lo sforzo per imparare un’altra lingua è leggermente superiore. L’apprendimento di una lingua seconda, inoltre, aumenta la competenza nella prima, aiutando la capacità di elaborazione di entrambi i sistemi.
In pratica: immettendo nuovo materiale, si consolidano entrambi i sistemi linguistici, aumentando la capacità dei due emisferi di collaborare e diminuendo la dominanza cerebrale di uno o dell’altro emisfero. Tutto questo senza contare che, al giorno d’oggi, i nostri bambini si trovano in classi miste, con figli di migranti, e il rispetto verso l’altro parte proprio non dalla multiculturalità, parola che mi fa sempre pensare a piccoli ghetti nelle nostre città ordinate, ma dalla interculturalità, dall’interesse e dallo scambio con persone dalla storia e dalle tradizioni diverse dalle nostre.
A meno che non siate straniere, sarà difficile che vostro figlio venga bilingue: quello che possiamo fare, però, è sottoporre i nostri figli a quanti più stimoli possibili. Certo, il giochino che dice “car” e “automobile” se premi il tasto non è sufficiente. Ma, essendo la componente ludica fondamentale nell’apprendimento di una lingua, possiamo scatenarci con canzoncine e, perché no, con puntate dell’onnipresente Peppa Pig in lingua originale! Fornendo “cibo linguistico” al bambino, vedremo col tempo i nostri input germogliare e andare a riempire tutti i vuoti lasciati dai nostri insegnamenti: il bimbo riuscirà a colmare le lacune e a sistemare i pezzi mancanti.
Delle mie amiche, laureate in lingue come me, si sono trasferite all’estero, dove sono nati i loro figli. Quei bambini rappresentano il sogno delle loro madri: il bilinguismo. Noi non possiamo aspirare a tanto, ma un aiutino possiamo fornirlo. E non dobbiamo aspettare le scuole elementari, non è mai troppo presto per imparare! Da bambina mio padre mi regalò Micaela. Micaela era una bambola con dei dischetti da inserire nella schiena. Ripeteva le stesse frasi in diverse lingue. In più, mia sorella non faceva altro che insegnarmi le filastrocche in inglese che imparava a scuola. Queste piccole cose mi davano l’impressione di poter essere libera e indipendente già da piccolissima: mi sentivo, con quattro frasi, in grado di poter girare il mondo vivendo ovunque. Dovevo solo scegliere sul mappamondo. Le lingue fanno proprio questo: che tu sia un dentista, un panettiere o una traduttrice, ti aprono le porte dell’umanità, rendendo la Terra più piccola. E più accogliente.
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