Cronaca
Poesie d’autore per la Festa del papà
Quattro poesie per rendere omaggio al papà nel giorno della sua festa: ecco la selezione di Blogo per tutti i bambini.
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Regalare una bella poesia per la Festa del papà è un pensiero gentile che non costa nulla, se non la fatica di memorizzarla o di leggerla correttamente. Per questo motivo abbiamo selezionato, cari bambini, 4 poesie d’autore famosissime. Le prime tre (Il Babbo di Schwarz, Al babbo lontano di A. Cuman Pertile e il bambino perduto di William Blake) sono molto brevi, quindi il piccolo potrà apprenderle con molta facilità. Considerato che mancano solo 4 giorni e bisogna sbrigarsi.
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L’ultima, invece, è un grande classico. Si tratta di Al padre di Salvatore Quasimodo. È un testo decisamente più complesso, lungo e articolato. È adatto per i ragazzi delle Medie e delle Superiori. Potete leggerla insieme e riflettere sulle parole di Quasimodo. Che ne dite?
IL BABBO di L Schwarz
Povero babbo!
Stanco, scalmanato,
tutte le sere torna dal lavoro,
ma per cantar la nanna al suo tesoro
ha sempre un pò di forza e un pò di fiato.
AL BABBO LONTANO – A. Cuman Pertile
Caro uccellino che volando vai,
il babbo mio di certo tu vedrai:
digli che è tanto buono il suo bambino,
e che spesso gli manda un bel bacino,
digli che gli vuol bene e che lo aspetta:
vola, uccellino, vola vola in fretta!
IL BAMBINO PERDUTO di William Blake
Babbo, babbo, dove vai?
Oh, non camminare così veloce.
Parla, babbo, parla al tuo bambino,
O io mi perderò.
La notte era scura, nessun padre c’era;
Il bimbo era bagnato di rugiada;
il fango era profondo, e il bimbo pianse,
e la nebbia svanì fugace.
AL PADRE di Salvatore Quasimodo
Dove sull’acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie tu vai lungo binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da due giorni, è dicembre d’uragani
e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
nei carri merci e noi bestiame infantile
contiamo sogni polverosi con i morti
sfondati dai ferri, mordendo mandorle
e mele dissecate a ghirlanda. La scienza
del dolore mise verità e lame
nei giochi dei bassopiani di malaria
gialla e terzana gonfia di fango.
La tua pazienza
triste, delicata, ci rubò la paura,
fu lezione di giorni uniti alla morte
tradita, al vilipendio dei ladroni
presi fra i rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria degli sbarchi, un conto
di numeri bassi che tornava esatto
concentrico, un bilancio di vita futura.
Il tuo berretto di sole andava su e giù
nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
Anche a me misurarono ogni cosa,
e ho portato il tuo nome
un po’ più in là dell’odio e dell’invidia.
Quel rosso del tuo capo era una mitria,
una corona con le ali d’aquila.
E ora nell’aquila dei tuoi novant’anni
ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza colorati dalla lanterna
notturna, e qui da una ruota
imperfetta del mondo,
su una piena di muri serrati,
lontano dai gelsomini d’Arabia
dove ancora tu sei, per dirti
ciò che non potevo un tempo – difficile affinità
di pensieri – per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del biviere, agavi lentischi,
come il campiere dice al suo padrone:
“Baciamu li mani”. Questo, non altro.
Oscuramente forte è la vita.