Cronaca
Mamme da legare: la maternità, il trionfo delle paure immotivate
Sono una madre abbastanza tranquilla: per intenderci, se un cane dà una bella leccata sul viso di mia figlia, non le faccio il bagno nell’Amuchina. Posso dirlo con cognizione di causa, perché è capitato un paio di volte.
Il ciuccio della bambina ha avuto varie peripezie, e temo che almeno un paio di insetti siano stati ingeriti, negli ultimi mesi. Ma portatemi in una zona pedonale e faccio un salto anche se qualcuno fa “broom broom” con la bocca. Fatemi attraversare una strada, e vi renderete conto di quanto tempo impiego per assicurarmi che l’auto più vicina non sia ancora nemmeno apparsa all’orizzonte.
Se un’auto passa a meno di 3 metri da mia figlia e a più di 30 km/h, inizio a inveire. Se sono io, in auto, inizia a venirmi l’ansia di aver legato male la bambina, e comincio a fare calcoli (io, che conto sulle dita) di quale possa essere lo spazio di frenata in base alla velocità e di che tipo di impatto potrebbe esserci. Il mio compagno fa scongiuri continui, ma sopporta stoicamente. Anche perché, sulla posizione della bambina in auto, è peggio di me.
In casa ho fatto più e più giri carponi, testando il bloccaggio dei mobili, appendendomi ad ante e cassetti, misurando l’altezza degli spigoli. Ma il problema non è solo la sicurezza in generale: a volte, quando sono da sola, mi chiedo “cosa farei, se adesso entrasse un ladro?”. Reazione isterica, mantenere la calma, nascondere la bambina in un armadio? Insomma, cose folli. So quali sono i muri maestri, e so quanto ci vuole a raggiungere il tavolo o l’arco più vicino: hai visto mai, un terremoto… Non solo: visualizzo esattamente anche la posizione del biberon pieno d’acqua, per afferrarlo nella fuga.
Al ristorante controllo mentalmente quanto disti l’uscita, e detesto i luoghi affollati. Un incendio, una sparatoria improvvisa… Insomma, sono pazza. Badate bene: la mia non è una pazzia scomposta, non vado nel panico: è una follia lucida, sono fredda nel mio immaginare catastrofi naturali e calamità varie.
Ma una volta sono andata nel panico: la bambina era nel passeggino, e noi camminavamo lungo la foce di un fiume, vicino al mare. Era una piccola città adriatica in pieno inverno: gli stabilimenti chiusi, qualche famiglia a passeggio coi bambini. Aveva piovuto tanto nei giorni precedenti, e l’acqua del fiume era torbida, verde scuro, profonda. Se qualcuno fosse caduto in acqua, anche tuffandosi per recuperarlo, ci sarebbe stata visibilità pari a zero. Afferrai il mio compagno per il braccio, chiedendogli in modo concitato (è un eufemismo) di allontanarci subito. Il mio tono doveva essere particolarmente agitato, perché lui non provò nemmeno a farmi ragionare. Girò il passeggino e ci allontanammo.
Quella sensazione di panico non la dimenticherò più: a ripensarci mi si chiude ancora lo stomaco. E allora ripenso a mia madre e, in generale, a tutte quelle che sono state madri prima di me. E provo un’autentica simpatia, nel senso etimologico del termine. Non ce n’è stata una che non abbia provato quel panico. Panico immotivato, assurdo. Ma dev’essere quel panico che ha consentito agli animali e agli uomini di non estinguersi.
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