Salute e benessere
Vitamina K in allattamento, quando è necessario integrarla?
La vitamina K è una sostanza indispensabile per la coagulazione del sangue che se carente nel neonato può provocare gravi emorragie. Vediamo quando è necessaria un’integrazione durante l’allattamento
Parliamo di vitamina K e integrazione durante l’allattamento, un argomento un pochino controverso sul quale è bene fare chiarezza. Intanto, di che sostanza stiamo parlando? La vitamina K è un composto naturale presente in alimenti comuni tra cui il latte vaccino e le verdure a foglia verde, e in questo caso prende il nome di vitamina K1, ma viene anche sintetizzato nell’organismo umano dalla flora batterica intestinale (vitamina K2).
Esiste, infine, una “versione” sintetica, ovvero farmacologica, chiamata K3, ed è proprio quella che viene somministrata normalmente ai neonati in ospedale – in soluzione unica per via intramuscolare – per evitare rischi di emorragie interne.
Infatti questo composto gioca un ruolo cruciale come fattore di coagulazione del sangue a livello epatico. Per tale ragione quando la vitamina K manchi del tutto o sia inferiore ai livelli minimi, il rischio è quello di andare incontro a gravi emorragie interne. Nel caso del neonato questa sindrome ha un nome specifico: Malattia emorragica del Neonato (MEN).
Nell’adulto in genere una carenza di vitamina K è assai rara, ma dal momento che il latte materno ne è quasi privo, molti pediatri consigliano alle neomamme che allattino esclusivamente al seno i propri bambini, soprattutto quando nati prematuramente, di somministrare loro un’integrazione di vitamina K, cosa non necessaria quando, invece, il bebè sia nutrito con il latte formulato, che ne è molto più ricco.
In realtà un bambino sano che nasca da parto naturale e sia allattato al seno da una madre a sua volta sana, non avrebbe bisogno di questa integrazione, perché il suo organismo comincia subito a produrre la vitamina K da sé. Tuttavia, una carenza può verificarsi nei seguenti casi:
- Diarrea e vomito prolungati del neonato che abbiano indebolito la sua flora intestinale, già comunque fragile perché immatura
- Malattie che provocano malassorbimento, come celiachia e allergie o intolleranze alimentari (soprattutto al lattosio e alle proteine del latte vaccino)
- Trattamento materno con farmaci che inibiscono la produzione di vitamina K
In tutti questi casi, e sempre quando il pediatra noti che il lattante manifesta sanguinamenti nella zona oculare o intestinale, è d’obbligo l’integrazione di vitamina K in dosi controllate (altrimenti il bebè rischia l’ipervitaminosi K che può addirittura provocagli uno shock fatale). Se il bambino è colpito da MEN gli vien somministrata una prima dose di vitamina K subito dopo il parto, e poi una successiva dose di 2 mg alla settimana (in gocce) per un tempo di sei settimane.
Per tutti gli altri bambini, però, in genere non si procede a questa integrazione perché del tutto inutile, quando non dannosa. In ogni caso, questo genere di supplementazione vitaminica va sempre decisa dai pediatri del reparto di neonatologia, in ospedale, o dal proprio pediatra di base, pertanto la cosa migliore è quella di fidarsi del parere degli specialisti e, in caso di dubbio, farsi sempre spiegare per filo e per segno per quali ragioni il bambino debba seguire una certa terapie farmacologica e quali potrebbero essere gli eventuali effetti collaterali.
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Foto| via Pinterest