Gravidanza
Parto indotto: cosa significa e come funziona?
L’induzione al parto si rende necessaria quando il bambino tardi a nascere nonostante siano scadute le 40-42 settimane di gravidanza, o quando esistano rischi per la salute di bebè e mamma. Vediamo come si procede
Il parto indotto è un parto vaginale che viene “stimolato” quando siano trascorse più delle 40 settimane di gravidanza fisiologiche e il bambino non dimostri alcuna voglia di venire al mondo.
Per la precisione, se dopo due settimane dopo la presunta data di nascita del bambino non si verifica nessuno dei segali premonitori del parto imminente, allora si procede all’induzione. Non è, però, solo il ritardo del bambino a venire alla luce che può rendere necessario questo protocollo collaudato, ma anche possibili rischi per la salute di mamma e bebè.
Ad esempio, in caso di preeclampsia o di diabete materni, si può anticipare il parto naturale per evitare che il feto aumenti troppo di dimensioni nelle ultime settimane di gestazione. Il parto indotto è, quindi, anche un’alternativa, seppur più laboriosa per la madre, al taglio cesareo. Come avviene l’induzione?
In assenza di complicazioni, si comincia gradualmente con delle manovre manuali effettuare dalle ostetriche, aventi lo scopo di stimolare le membrane uterine attivando la produzione di prostaglandine, a loro volta responsabili di indurre le contrazioni.
Se questa prima manovra non sortisce effetto entro mezzora, allora si procede all’inserimento in vagina (attraverso una siringa), di un gel a base di prostaglandine sintetiche. La somministrazione viene ripetuta fino ad un massimo di 4 volte ad una distanza di sei ore l’una dall’altra.
A questo punto, nel 90% dei casi la donna entra in travaglio (di solito dopo la seconda o la terza dose di prostaglandine). Tuttavia, esistono elle eccezioni, e in questi casi si induce il parto in modo diverso. Entra in gioco l’ossitocina, il cosiddetto ormone “dell’amore”, che stavolta serve per accelerare i tempi del travaglio.
Viene somministrata per infusione endovenosa e la flebo non viene staccata neppure durante e dopo il parto per favorire le contrazioni uterine del travaglio e successive (che permettono l’espulsione della placenta).
Purtroppo, il parto indotto non è una pratica piacevole per la donna che sia costretta a ricorrevi. Le contrazioni sono molto più ravvicinate e dolorose, e le manovre manuali sono fastidiose. Se, poi, l’induzione alla fine non dovesse avare successo, in genere si procede, come extrema ratio, al taglio cesareo.
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