Cronaca
Mamme da legare: Aiuto, le vaccinazioni!
Ho iniziato ad avere timore delle vaccinazioni nel momento in cui sono rimasta incinta.
Si leggevano cose poco rassicuranti, e districarsi tra la giungla di notizie contraddittorie non era semplice. Le altre madri mi rispondevano con un criptico “la decisione è tua”, e non facevano altro che alimentare i miei timori. La decisione di farla vaccinare, alla fine, era quasi scontata per me: a dei rischi vaghi e non accertati si sostituivano quelli certi e angoscianti di malattie che spesso sottovalutiamo, come il tetano. Se mia figlia avesse ereditato anche minimamente il carattere mio o del padre, sarebbe tornata spesso e volentieri con ginocchia sbucciate ed escoriazioni varie dovute a giornate di esplorazione in giardino. Non credo nemmeno troppo nella “supervisione” degli adulti: l’unica volta che mi sono fatta davvero male, da bambina, è stato in camera dei miei genitori, sotto gli occhi di entrambi, rompendomi la testa su un mobile dagli spigoli arrotondati…
Prima dei tre mesi di vita, così, è giunto il momento di andare in ambulatorio. La mattina ci prepariamo e, ancora sulla soglia, io che sono sempre stata coraggiosa davanti a visite mediche e ricoveri ospedalieri, dico al mio compagno: “Non ce la faccio ad andare da sola, vieni con noi”. E per fortuna che l’ha fatto! Le gambe hanno iniziato a tremarmi mentre ero ancora all’accettazione. Non riuscivo a spiccicare mezza parola, mentre il mio compagno chiedeva informazioni a infermieri e pediatri. Che, con molta pazienza e tranquillità, davano spiegazioni all’ennesima coppia di genitori spaventati. Nell’ambulatorio non ho avuto il coraggio di guardare la bambina, né di spogliarla o tenerla: ha fatto tutto il papà, mentre io mi chiedevo quale fosse la punizione per le madri che fanno inoculare virus potenzialmente mortali ai figli.
La bimba ha pianto solo un attimo, al momento della puntura, ma si è ripresa subito per le moine dell’infermiera che la distraeva. Se si fossero girati a guardarmi, avrebbero chiamato una barella per farmi portare al pronto soccorso: penso che ogni singola goccia del mio sangue si fosse dileguata. Abbiamo aspettato in sala d’attesa la mezz’ora canonica per vedere se sopraggiungevano problemi, chiamando genitori e zii vari: “sì, la bambina sta bene ed è sorridente. Graziella? Ehm, così così…”.
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