Istruzione
Carnevale: i racconti per la scuola primaria
Carnevale è una festa che i bambini amano tantissimo, me è anche una ricorrenza antica associata a tradizioni popolari diverse da regione a regione. Impariamo a conoscerle.
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Quanti di noi sanno davvero che cosa sia il Carnevale? Difficile spiegarlo ai bambini. Certo, è una ricorrenza in cui la maschera è la vero protagonista, ci sono sfilate in costumi, feste, carri e tanti dolci buonissimi. Affonda le sue radici nel Medioevo.
A proposito di rievocazioni storiche e di leggende popolari, legati al Carnevale ci sono tanti racconti, che possono farci conoscere meglio i personaggi tipici come Pulcinella, Brighella, il dotto Balanzone, Colombina e via discorrendo. Insomma, va bene travestirsi da Principessa Sofia e da Masha, ma poi dobbiamo insegnare ai nostri piccoli anche le tradizioni locali e popolari.
Ai bambini della scuola elementare di solito vengono presentate queste maschere regionali e questi personaggi pittoreschi, con i loro tipici tratti caratteriali e i loro costumi. Proviamo anche a casa.
La fuga dell’ammalato
Una sera i signori De Servi chiamarono con urgenza il medico, perché il nonno stava male. Dopo un’ora, grasso, tronfio, tutto vestito di nero, con un grosso naso ed un gran cappello, arrivò il Dottor Balanzone di Bologna. Si avvicinò con aria solenne al letto del nonno ed incominciò: “Questo est il paziente, l’ammalato, l’uomo dalla salute cagionevole?”. “Sì Eccellenza…” “Volete che gli parli in italiano,in dialetto bolognese o in latino latino rum?”. “Ma veramente per noi…”. “Desiderate che io scriva, parli, danzi, faccia smorfie, balbetti? posso scegliere il linguaggio che più vi aggrada, poiché io sono dottissimo: ho studiato alla Accademia degli Asinelli, all’Università dei Merli, alla Grande Scuola dei Pomodori ripieni. Io sono laureato in Larghezza, Altezza, Lunghezza. Io sono un grande Dottore, un magno Dottorem. Toh… a proposito magno anche subito se volete!” “Ma come volete che si pensi a mangiare in un momento come questo” esclamarono indignati i De Servi. “Non vedete che il nonno é gravissimo? Presto…”.”Calma, calma”replicò Balanzone. Ora mi accingerò a visitare l’ammalato. Volete che gli tocchi il polso sinistro o destro? La gamba o il torace? Gli faccio una puntura, cento punture? Volete che gli tolga il fegato?”.”Il fegato!!!???”. “Oppure desiderate che gli tolga la milza, il cuore, i polmoni, l’orecchio destro, il ginocchio sinistro?”. A questo punto il nonno, stanco di tutti quegli spropositi, si alzò, si vestì e andò all’osteria a scolarsi una bottiglia di Lambrusco, lasciando il Dottor Balanzone… in eredità ai parenti!
Re Carnevale
Re Carnevale, sovrano forte e potente, governava un vasto regno con saggezza e somma giustizia. Le porte del suo palazzo erano sempre aperte e chiunque poteva entrare nelle cucine della reggia, fornite di cibi prelibati, e saziarsi a volontà. Ma i sudditi,invece di rallegrarsi di avere un sovrano così generoso, approfittarono del suo buon cuore e a poco a poco si presero tanta confidenza, da costringere il povero re a non uscire più dal suo palazzo per non essere fatto oggetto di beffe ed insulti. Egli allora,si ritirò in cucina e lì rimase nascosto,mangiando e bevendo in continuazione. Ma un brutto giorno,era sabato, dopo essersi abbuffato più del solito, cominciò a sentirsi male. Grasso come un pallone,il volto paonazzo ed il ventre gonfio, capì che stava per morire; la sua ingordigia lo aveva rovinato. Tutto sommato era felice per la vita allegra che aveva condotto, ma non voleva andarsene così, solo, abbandonato da tutti, proprio lui, il potente Re Carnevale. si ricordò allora di avere una sorella, una bella donnina fragile, snella e un pò delicata, ( eh sì era davvero diversa quella sorella di nome Quaresima!) che lui, un giorno, aveva cacciato di corte. La mandò a chiamare e lei, generosa, accorse; gli promise di assisterlo e farlo vivere altri tre giorni, domenica, lunedì e martedì, ma in cambio pretese di essere l’erede del regno. Re Carnevale accettò e passò gli ultimi tre giorni della sua vita divertendosi il più possibile. Morì la sera del martedì e sul trono, come precedentemente avevano stabilito, salì Quaresima; prese in mano le redini del regno e governò il popolo con leggi dure e severe, ma in fondo benefiche.
La fuga di Pulcinella
Pulcinella era la marionetta più irrequieta di tutto il vecchio teatrino. Aveva sempre da protestare, o perché all’ora della recita avrebbe preferito andare a spasso, o perché il burattinaio gli assegnava una parte buffa, mentre lui avrebbe preferito una parte drammatica. “Un giorno o l’altro” egli confidava ad Arlecchino “Taglio la corda”. E così fece, ma non fu di giorno. Una notte egli riuscì ad impadronirsi di un paio di forbici dimenticate dal burattinaio, tagliò uno dopo l’altro i fili che gli legavano la testa, le mani e i piedi e propose ad Arlecchino: “Vieni con me.” Arlecchino non voleva saperne di separarsi da Colombina, ma Pulcinella non aveva intenzione di portarsi dietro anche quella smorfiosa, che in teatro gli aveva giocato centomila tiri. “Andrò da solo” decise. Si gettò coraggiosamente a terra e via, gambe in spalla. “Che bellezza” pensava correndo “non sentirsi più tirare da tutte le parti da quei maledetti fili! Che bellezza mettere il piede proprio nel punto dove si vuole”. Il mondo, per una marionetta solitaria, é grande e terribile, e abitato specialmente di notte, da gatti feroci, pronti a scambiare qualsiasi cosa che fugge per un topo cui dare la caccia. Pulcinella riuscì a convincere i gatti che avevano a che fare con un vero artista, ma ad ogni buon conto si rifugiò in un giardino, si acquattò contro un muricciolo e si addormentò. Allo spuntare del sole si destò ed aveva fame. Ma intorno a lui, a perdita d’occhio, non c’erano che garofani, tulipani, zinnie e ortensie. “Pazienza” si disse Pulcinella e colto un garofano cominciò a mordicchiarne i petali con una certa diffidenza. Non era come mangiare una bistecca ai ferri o un filetto di pesce persico; i fiori hanno molto profumo e poco sapore. Ma a Pulcinella quello parve il sapore della libertà, e al secondo boccone era sicuro di non aver mai gustato cibo più delizioso. Decise di rimanere per sempre in quel giardino e così fece. Dormiva al riparo di una grande magnolia le cui dure foglie non temevano pioggia né grandine e si nutriva di fiori; oggi un garofano, domani una rosa. Pulcinella sognava montagne di spaghetti e pianure di mozzarella, ma non si arrendeva. Era diventato secco secco, ma così profumato che qualche volta le api si posavano su di lui per suggere il nettare, e si allontanavano deluse solo dopo aver tentato invano di affondare il pungiglione nella sua testa di legno. Venne l’inverno, il giardino sfiorito aspettava la prima neve e la povera marionetta non aveva più nulla da mangiare. Non dite che avrebbe potuto riprendere il viaggio: le sue povere gambe di legno non lo avrebbero portato lontano. “Pazienza” si disse Pulcinella “Morirò qui. Non é un brutto posto per morire. Inoltre morirò libero: nessuno potrà più legare un filo alla mia testa, per farmi dire sì o no”. La prima neve lo seppellì sotto una morbida coperta bianca. In primavera, proprio in quel punto, crebbe un garofano. Sottoterra, calmo e felice, Pulcinella pensava;”Ecco, sulla mia testa è cresciuto un fiore. C’é qualcuno più felice di me?” Ma non era morto, perché le marionette di legno non possono morire. E’ ancora là sotto e nessuno lo sa. Se sarete voi a trovarlo, non attaccategli un filo in testa: ai re e alle regine del teatrino quel filo non dà fastidio, ma lui non lo può proprio soffrire.
Via | ilpaesedeibambinichesorridono.it