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Giornata della Memoria: Jona che visse nella balena, riflessioni con mia figlia
Giornata della Memoria: perchè tanto odio e tanta violenza contro gli Ebrei. Riflessioni sparse con la mia bambina di undici anni.
“Se Jona era riuscito ad uscire dal ventre della balena noi non avremmo mai avuto paura”. Con questo messaggio parte il film Jona che visse nella balena diretto da Roberto Faenza, che racconta il dolore, l’antisemitismo dei nazisti, le angherie e le violenze fisiche e psicologiche vissute dai Ebrei durante la prigionia nei campi, durante la seconda guerra mondiale.
Con un messaggio di speranza. La stessa speranza che la mamma cerca di trasmettere al figlio, il piccolo Jona di quattro anni. Il bimbo olandese è il protagonista, e narra la sua storia come rappresentazione di ciò che avrà vissuto ogni piccolo ebreo durante le persecuzioni: Jona diventa grande troppo in fretta (“io non sono più un bambino piccolo piccolo”) a causa del dolore, della separazione, della morte dei genitori Hanna e Max, delle cattiverie vissute non solo da parte dei nazisti ma anche dai bambini più grandi che vivevano nello stesso campo di prigionia.
Il regista rappresenta il dolore, la sofferenza attraverso il punto di vista di un bimbo innocente. Un bimbo a cui nessuno dà delle risposte, che lui stesso dovrà trovare. Quest’anno ho visto il film insieme a mia figlia, undicenne, molto sensibile alla tematica e con un pizzico di maturità in più rispetto alle coetanee.
“Nessun bimbo avrebbe mai dovuto vivere e anche solo vedere queste cose…” commenta mia figlia alla partenza dei titoli di coda. Mi guarda, nota la mia commozione, e aggiunge: “anche io ho pianto, mamma…”
“I bambini devono giocare e basta”, non possono portarsi il carico di odio degli adulti. Il regista racconta la sofferenza in maniera sussurrata e mai gridata, e lancia un monito affinchè tutti ci si ricordi di quanto è accaduto in maniera che non accada mai più.
“Mamma, io non ce l’avrei mai fatta…ma penso che la forza per il piccolo sia stato incontrare delle persone che lo hanno sostenuto. Alcune figure sono positive, il cuoco tedesco che lo fa mangiare e gli regala il cucchiaio, Simona, l’amica che lo sostiene anche quando i genitori non ci sono più, e la coppia, vicini di casa di Jona ad Amsterdam, che si prenderà cura del bambino alla fine della guerra.”
Mamma, perchè tanto odio? Che male avevano fatto gli Ebrei?
Non c’è una risposta o logica alla follia di Hitler e alla promulgazione delle leggi razziali, alla mancanza di sensibilità, alla violenza delle SS, obbedienti come una sorta di automi al “credo hitleriano” contro i propri pari (perchè tutti, nazisti e ebrei, erano uomini, non era uno scontro tra uomini e bestie, tutti erano persone di pari dignità).
La parte che ti è piaciuta di più? “La fine quando il piccolo sorride alla vita e al futuro, nonostante tutto quello che aveva passato”.
In fondo, il regista inizia con un messaggio di speranza e finisce con la stessa speranza, per un futuro migliore. Colpisce anche la forza di mamma Hanna che nonostante tutto quello che aveva passato assieme alla sua famiglia rivolge al bimbo sempre il monito a perdonare: “Guarda sempre il cielo e non odiare mai nessuno”
Mamma, per quale motivo li hanno separati? Per togliere loro ogni briciolo di dignità. Per loro solo privazioni: dei vestiti, di barba e capelli (in segno di sfregio), degli affetti, di ogni forma di diritto. Non era permessa alcuna forma di affettività: esprimere emozioni, sentimenti o pensieri, anche solo avere un nome (sostituito dalle cifre sul braccio).
“Mamma, ma alla fine Jona riesce a riconquistare il nome perduto! Alla fine lo scrive a macchina sul foglio di carta…”